Il baule dei ricordi del 2023

Ormai qui ci sono sempre meno. Come ho già avuto modo di dire, i tempi sono cambiati, le cose sono cambiate. E, inevitabilmente, sono cambiato io. Ma sapere che My World… è qui che mi aspetta, sempre, mi dà un senso di pace. Ed io, almeno in questa occasione, desidero rinnovare la ricorrenza del recap da riservare ai posteri.

Il 2023 è stato un altro anno in chiaroscuro. L’ennesimo anno di attesa. Per cosa? Non lo so nemmeno io. Di certo, l’ultima parte di questo arco annuale mi ha rifilato una nuova delusione inaspettata e, secondo me, immeritata. Ma stavolta ha fatto meno male. Col tempo ho capito che, superata una certa età, la vita non può riservarti solo il bello. E che però quando arriva, il bello, va afferrato ed assimilato, dandogli il giusto valore. E poi il motto dice che “alcune cose finiscono per permettere alle migliori di arrivare”. Ed io le aspetto.

Intanto mi appresto a riporre in questo box i ricordi che intendo salvare di quest’anno.

  • Il raggiungimento del tanto agognato scudetto del Napoli
  • L’intenso primo anno in palestra
  • Il bellissimo soggiorno in Daily Spa alle terme
  • La prima Comunione di mio figlio
  • La rinnovata presenza al cinema con mio figlio…
  • … e la novità della visione al cinema sulla spiaggia
  • Il fruttuoso ritorno al Circeo

Questo è tutto.

Ora, io non so quanti ancora approdano su queste pagine. Il blog non viene più indicizzato dai motori di ricerca come accadeva nel suo glorioso passato, e le statistiche delle visite in questo posto si sono ridotte sensibilmente. Ad ogni modo, AUGURO A TUTTI VOI, LETTORI PIU’ O MENO CONSAPEVOLI DI DOVE SIETE CAPITATI, UN FANTASTICO ANNO NUOVO.

Il baule dei ricordi del 2022

Eccoci pronti per l’ultimo post dell’anno.

Questa rubrica mi è sempre piaciuta e, benchè io sia riuscito ad utilizzare il baule poche volte (QUI e QUI), l’idea di riporre le mie esperienze annuali durante questa occasione mi piace.

Il 2022 è stato un annus horribilis per me. Certo, migliore di quello precedente che è stato vissuto sull’onda del taglio netto causato dal terremoto di fine anno 2020, ma l’anno a cui ci apprestiamo a dare il commiato ha riservato comunque molte ombre, e poche luci. Un anno che è iniziato con un’illusione, che ha vissuto diverse brutte vicissitudini, ma che comunque è servito per la mia crescita personale. E che chiude con una speranza.

Ma ora, bando alle ciance, e andiamo a riempire il box dei ricordi con quelli del 2022 che meritano di essere salvati.

  • Il primo saggio di pianoforte di mio figlio
  • L’aver riallacciato i contatti e la frequentazione con alcuni amici del passato
  • Il weekend di Praia
  • Il sogno scudetto della mia squadra del cuore
  • La scoperta di alcune ottime serie tv come Ted Lasso e Cabinet of Curiosites
  • La vacanza a Rimini in compagnia della mia famiglia e dei miei cugini
  • Il ritorno al cinema (dopo più di dieci anni)
  • La rinnovata incursione al Circeo

Ho finito.

Il 2023 è vicino. E i buoni propositi sono già in cantiere. Vediamo che succede.

AUGURO DI BUON ANNO NUOVO A TUTTI VOI!

Il toccasana delle cose semplici

 

Stamattina l’ho vissuto di nuovo.

Ho approfittato del fatto di aver trovato poco traffico sulla strada verso il lavoro e sono arrivato nei pressi dell’ufficio in tempo utile per una passeggiata. Ed oggi, come allora, la sensazione è stata quella di aver iniziato la giornata con il piede giusto. Anzi, con entrambi i piedi.

Si, perchè quando riesci a piantare una deviazione sul percorso monotono e routinario fatto di Sveglia/Auto/Ufficio/Auto/Casa dei giorni feriali, allora ti senti meglio. E’ come aver dato un senso più pieno alla giornata. Ed io, in attesa delle svolte che auspico per la mia vita, ora (come allora) mi accontento del piacere di gustarmi le cose semplici. Come una passeggiata inaspettata.

Ovviamente, ho coperto il sottofondo dei rumori urbani con la musica. E a tal proposito mi chiedo come sia stato possibile vivere finora ignaro dell’esistenza di un pezzo così forte come quello di Algiers degli Afghan Whigs.

Ve lo lascio. Buon ascolto.

 

Un direzione giusta che ora non ho



Eccomi di nuovo qua. Ancora alle prese col foglio virtuale su cui buttare giù i miei pensieri. E devo ammettere che ne sono molti di pensieri, ultimamente.

Sono giorni strani per me. Giorni caratterizzati dall’alternanza di umori interiori che fanno a pugni tra di loro e che mi impediscono di trovare la direzione giusta verso l’equilibrio e la serenità. Ammesso che esista una direzione.

Ormai sono passato dall’essere un ragazzo dai tanti interessi e le tante passioni ad un uomo dalle innumerevoli incertezze e i pochi punti fermi nella propria vita.

Però scrivere mi fa bene. E questo posto mi ha sempre accolto ed ha sempre raccontato di me.

E allora lasciamo parlare il foglio. Che forse qualcosa in più lo sa comunicare.

Tanto per cominciare mi sono accorto che è passato da poco il compleanno del blog. 16 anni dal primo respiro di My World…. Praticamente un quinto della prospettiva di vita media è raccontato su queste pagine. Allora non ero nemmeno ancora ospitato da WordPress, ma da Splinder. Una piattaforma meno professionale, ma forse più genuina e semplice. Un pò come la mia vita di allora. E malgrado non riesca più a scrivere con la frequenza e la creatività di un tempo (ricordiamoci tutti che io scrivo dal pc dell’ufficio, e il lavoro ormai è tanto e non mi permette le pause di prima) io continuo a lasciare tracce, perchè questo posto ha un suo richiamo su di me. Ad ogni modo, tanti auguri posticipati al My World… che mi permette sempre di imprimere sulle sue pagine nuovi capitoli e contenuti.

Allora, è appena successa una cosa curiosa e voglio che venga raccolta qui. Proprio mentre vi stavo scrivendo della mia volontà di iscrivermi in palestra, ho ricevuto un messaggio. Mio fratello mi chiede di andare a fare boxe insieme. Ed io volevo appunto parlare del fatto che non ho mai fatto palestra, se non forse una ventina di anni fa, per un mese, e un altro paio di mesi di palestra “fai da te in casa” (tra l’altro, salutiamo la sciatalgia che non mi ha mai più lasciato da allora). Ma quello della palestra è sempre stato un mio pallino. In primo luogo perchè da quando ho buttato giù i chili di troppo ho un corpo che manifesta impietosamente il fatto che non ho muscoli degni di essere definiti tali. E poi perchè, mai come in questo periodo, ho bisogno di qualcosa che mi tenga impegnato. E che mi permetta di confezionare delle esperienze nuove. Per la cronaca, dopo il mio Si al messaggio di mio fratello, non ho ricevuto ancora alcun seguito.

Passando ad altro, ultimamente sto cercando di sfoltire la lista di serie tv da vedere. Proprio ieri ho iniziato Ted Lasso, storia di un manager di calcio che viene ingaggiato da una squadra minore inglese e proiettato in una realtà totalmente differente dalla sua. Il pilot di questa serie è stato una piccola perla con una forma di umorismo piuttosto sofisticata. Ed io non vedo l’ora di continuarla per vedere se il seguito confermerà le mie buone sensazioni. Intanto sto provando a mettermi al passo con The Walking Dead, ed ho iniziato il rewatch di Californication. Giusto per ingolfare un pò di più la mia lista.

C’è una cosa però che posso fare mentre mi occupo di altro e che non mi toglie tempo, come invece mi fa il dover scrivere sul blog o guardare serie tv, ed è ascoltare la trasmissione di Enrico Silvestrin.
Chi come me è stato adolescente nei meravigliosi anni novanta, si ricorderà del monopolio senza pari che aveva Mtv, l’emittente incentrata sulla musica e sugli approfondimenti di questo campo. All’epoca Silvestrin è stato tra i primi a volare a Londra per lavorarci, diventando poi anche uno dei Vj più noti quando la stessa Mtv decise di fondare una sede dislocata qui da noi. Di seguito Enrico si è occupato di cinema e reality, ma non ha mai abbandonato il suo interesse per la musica. Oggi Silvestrin propone su Twitch un programma dalle 14 alle 16 (e che quindi posso seguire durante la mia pausa pranzo) di approfondimento musicale e che ha, tra le sue vocazioni, quella di mettere al corrente la sua utenza sull’utilizzo della musica attuale e sulla deriva che stanno prendendo alcuni generi, facendo luce sulle alternative che il mercato offre e delle quali, in Italia, non si parla.
Personalmente trovo che il modo di condurre e di argomentare di Silvestrin sia davvero piacevole, quasi magnetico. E questo tipo di intrattenimento è ciò che mi serve per riempire i vuoti di queste mie giornate.

Ok, penso di aver finito, per stavolta.

Anzi no. C’è una bonus track per i più temerari che sono riusciti ad arrivare fino alla fine di questo articolo: Voglio imparare a cucinare. Al momento è solo un desiderio, perchè non avendo ancora una casa mia è impossibile cimentarmi in questa cosa che però, devo dire, mi affascina molto. Per ora finisce anche questa tra le cose da fare. Un desiderio in più.

Accidenti. Rileggendo il post mi rendo conto che ho scritto tanto, ma niente di cui avevo pensato di scrivere oggi.

Eppure questa cascata di parole mi è servita. E forse una direzione giusta l’ho trovata. La direzione dettata da questo post, che mi ha portato proprio dove volevo. Verso la serenità.

Come in un episodio di Black Mirror

Provate ad immaginare se tempo fa qualcuno fosse arrivato nella vostra vita, un tizio qualunque, e vi avesse anticipato questa prospettiva:

«Tra qualche anno il mondo dovrà fermarsi. Voi dovrete restarvene chiusi in casa. Non potrete avvicinarvi a nessuno. Dovrete indossare obbligatoriamente delle mascherine protettive. Non potrete andare in giro senza un motivo giustificato da autocertificare su un pezzo di carta da esibire su richiesta delle forze dell’ordine. Tutti i campionati di calcio del mondo si fermeranno nel bel mezzo della fase clou della stagione. Tutto lo sport dovrà fermarsi, anche quelli che tenteranno fino all’ultimo per mandare avanti la giostra. Quei pochi programmi televisivi che andranno ancora in onda in diretta lo faranno senza la presenza del pubblico. Le vostre serie tv preferite verranno sospese o trasmesse solo in lingua originale mentre l’uscita dei nuovi film in programma al cinema verrà annullata o posticipata. Tutto questo mentre gli Stati di tutto il mondo cercheranno di porre riparo alla crisi economica mettendo in atto forme di sostentamento ai cittadini.»

Ora io lo so che questo preambolo oggi non vi suonerà più tanto strano, dal momento che siamo ormai da quasi due mesi in piena emergenza da pandemia del Covid-19. Ma fermatevi un attimo, rileggete il periodo iniziale, chiudete gli occhi ed immaginate la scena tornando indietro nel tempo.
E ora alzi la mano chi non ha pensato ad un fantasioso (e in tal senso affascinante) episodio distopico della famosa serie tv Black Mirror. Uno scenario fuori dalla logica delle nostre vite, fino a qualche tempo fa. E invece oggi… Da brividi.

Aldilà di questa agghiacciante premessa, volevo giusto tirare giù un paio di considerazioni per imprimere su queste pagine il mio io ai tempi della pandemia. Sono ormai quasi due mesi che non metto il naso fuori dal viale di casa. L’ultima volta che sono andato a lavoro in ufficio è stato l’11 marzo. Da allora ho lavorato da casa (il termine smart working è diventato d’uso comune di questi tempi) e devo ammettere di averlo fatto ancora di più di quando sbrigavo le pratiche dalla scrivania dello studio. Peccato però che alla consistente mole di lavoro abbia fatto da contraltare l’assenza dei pagamenti da parte dei clienti, il che ha prodotto un fastidioso paradosso umorale in me. Effetto domino.

Capitolo lavoro a parte, posso serenamente affermare come la reclusione forzata non mi abbia minimamente influenzato sotto il profilo mentale e dello stato d’animo. Ovviamente fa la sua parte il fatto che impiego ancora gran parte della giornata a lavorare, però io credo che dipenda soprattutto dal carattere e dallo spirito d’iniziativa delle persone. E quindi, mentre tutti intorno a me sembrano mostrare insofferenza, sbalzi d’umore e continue lamentele per il persistere dei giorni passati in casa, io ho tratto dal cambio di stile di vita il piacevole gusto della novità.

Innanzitutto ho imparato ad osare. Dato il protrarsi della chiusura forzata dei barbieri, mi sono finalmente tolto lo sfizio di rasarmi totalmente i capelli. Tanto ricresceranno, mi sono detto. E poi mi vedo molto meglio di quanto potessi immaginare.

Ho capito l’importanza benefica del sole. Prima di questo periodo mi sono sempre limitato dallo stare a prendere il sole sul balcone, preoccupandomi di risultare troppo inadeguato al contesto. E invece mi sono accorto che il sole, quando c’è, funge davvero un ruolo essenziale sul mio fisico e la mia mente. Quindi me lo godo, anche sul balcone.

Sto rivalutando l’Universo Marvel. Nonostante mi sia sempre considerato un nerd, i film della Marvel (che per noi nerd sono una sorta di marchio distintivo) non hanno mai attirato la mia attenzione. La quarantena (… e Disney+) mi ha dato lo slancio per iniziare questa lunga maratona con protagonisti i supereroi più amati del mondo e, facendo il giusto compromesso con la logica e con l’età, ho capito che riesco addirittura a farmi passare le 2 ore di visione senza annoiarmi.

Infine il calcio. E’ incredibile come un appassionato incallito del Napoli come me possa essere arrivato a farne senza. Nessun peso, come se non fosse mai esistito nella mia vita. Anche questo è il potere del periodo che viviamo. Si dice che un’abitudine ha bisogno di 21 giorni per insinuarsi nella vita di un individuo. Questo parametro viene usato per chi vuole smettere di fumare, ad esempio, o per chi è a dieta ed ha delle abitudini alimentari eccessive. Beh, io credo di aver sperimentato questa cosa nella mia dipendenza col calcio. E funziona.
L’unica cosa che i 21 giorni della teoria non riescono proprio a farmi smettere (ma nemmeno in 21 anni, mi sa) è il credere ancora in questo. Ma quell’ideale prima o poi imparerò ad accettarlo senza dolore.

Saltare lo squalo

Da me il lunedì sera è diventato un appuntamento fisso targato This is us. Se non conoscete questa serie-tv vi consiglio di recuperarla perchè parliamo, nel complesso, di una storia veramente ben raccontata e abilmente strutturata, piena di colpi di scena nascosti tra le maglie di una trama all’apparenza semplice. Insomma, al netto di quello che sto per dirvi, la serie merita. E comunque io vi avevo già avvisati QUI.

Da un paio di settimane è iniziata la sua terza stagione che, però, sembra aver perso qualcosa. Sebbene siamo soltanto al terzo episodio (un pò prematuro per giudicare, lo so), mi trovo costretto, mio malgrado, ad evidenziare una palese stanchezza nei contenuti. Senza incappare in spoiler, dico solo che alcune scelte degli sceneggiatori stanno portando ad “allungare il brodo” con sottotrame incoerenti e del tutto avulse da quello che è il cuore di This is us. Sembra che tutti i personaggi stiano vagando senza una vera e propria direzione, andando a sbattere contro avvenimenti privi di logica narrativa. In sostanza, anche per This is us è arrivato il tanto temuto momento del Salto dello squalo.

L’espressione Saltare lo squalo (in inglese Jumping the shark) è un neologismo utilizzato soprattutto nel campo delle serie-tv e sta a significare quando, appunto, un prodotto televisivo ha raggiunto il massimo della sua popolarità e delle sue potenzialità e si appresta a vivere il suo periodo di declino.

Per capire l’origine della terminologia e scoprire qual è stato l’evento che letteralmente ha “saltato lo squalo” dobbiamo ritornare al 1977. Tutti voi conoscerete la celebre serie Happy Days basata sulle vicende di un gruppo di adolescenti e delle loro famiglie nei favolosi anni ’50. Ecco, in quell’anno andava in onda la sua quinta stagione. Nel primo episodio vediamo tutto il cast principale in visita a Los Angeles dove Fonzie è impegnato in una sfida di sci nautico. Qui il nostro impavido playboy, indossando la sua onnipresente giacca di pelle e un improbabile costume da bagno, riesce nientepopodimenoche nell’impresa coraggiosa di… saltare uno squalo! Tutto questo, in un contesto grottesco e inverosimile rispetto ad una serie che, nei suoi primi anni, aveva improntato fortemente il suo marchio ad avvenimenti familiari e adolescenziali vicini alla realtà. Una stonatura, insomma.
Questo cambio di rotta è quindi riconosciuto come uno spartiacque tra la prima parte della serie e il suo (inferiore) proseguo.

C’è da considerare che spesso il Jump the shark è proprio la principale causa di cancellazione degli show televisivi americani (Happy Endings, ricordate?) ed è ciò che fa diminuire gli ascolti e che spinge gli incuranti produttori a chiudere prematuramente una serie tv. Alla faccia dei buoni sentimenti e del cuore degli spettatori.

Col passare del tempo, la terminologia del salto dello squalo è diventato di uso comune nei paesi anglosassoni, annoverandolo anche in campi differenti a quello d’origine. Si parla di Jumping the shark, infatti, anche per quei cantanti, attori e gente dello spettacolo che hanno esaurito la loro aurea di popolarità ed interesse nei confronti delle masse e che, saltando lo squalo, si sono poi ritrovati a fare i conti con la parabola discendente o, addirittura, dell’anonimato. Ogni scarpa addiventa scarpone, si dice dalle mie parti.  

 

jump-the-shark

 

Una serata differente

Quando l’amico che conosco da oltre vent’anni mi ha proposto di uscire con la sua banda (una formazione ridotta di colleghi ed allievi), devo dire di essermi trovato piuttosto spiazzato. Mi è già capitato, anche in tempi recenti, di incontrarmi con lui ed altri amici di vecchia data e di aver così incrementato il baule di ricordi nuovi e piacevoli. Ma con questi altri non ho alcun legame professionale, non abbiamo le stesse competenze, non frequentiamo gli stessi ambienti, nè viviamo i medesimi contesti. Insomma, previsioni di serata poco incoraggianti. 

– “Che ci vengo a fare?” – gli chiedo.

– “Mi farebbe piacere che tu ci fossi. E’ tutta gente tranquilla. Un pub. Un panino. Per le 22 stiamo a casa” – risponde con l’aria di chi non ammette repliche. 

E così, malgrado lo scetticismo iniziale, ho accettato e ci sono andato. 

Appuntamento al Vomero, nel quartiere in cui ho vissuto buona parte dei miei sabato sera da ragazzo. Il posto designato all’incontro è stato nei pressi di un negozio un tempo teatro di importanti scelte musicali e ludiche per il sottoscritto. Il pub, sebbene piuttosto famoso da quelle parti, non lo conoscevo. 

Alla fine tutto è filato liscio. Si è mangiato bene e si è stati altrettanto. Certo, quando la discussione si spostava su argomenti più tecnici mi sono sentito come un pesce fuor d’acqua, ma i momenti di incomunicabilità sono stati davvero pochi ed indolori.

All’uscita mi sono ritrovato tra le vie deserte di un quartiere abitualmente molto popolato, avvolto da un gelo insolito per essere stato il primo giorno di primavera. Ma tutto questo mi è piaciuto. Strade vuote e freddo pungente hanno ristorato la mia anima. Così come mi è piaciuto ritrovarmi sotto le luci dell’insegna di quel cinema a cui sono legatissimo. Un posto che, prima ha dovuto alzare bandiera bianca a causa della crisi, e che poi ha riaperto i suoi battenti. Per amore dei ricordi di una generazione. 

 

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Semplicemente This is us

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Tra le serie-tv che seguo con maggiore interesse ce n’è una che non smette di sorprendermi per la sua capacità di toccare le corde del cuore e di strimpellarle a suo piacimento per poi vederle sanguinare mescolate alle lacrime del conscio spettatore. Sto parlando di This is us.

Jack e Rebecca Pearson sono una coppia che improvvisamente si ritrova a dover far spazio nella propria vita all’arrivo di ben tre bebè. Il pilot ci mostra subito che le cose per i due non si mettono in discesa (e mai lo saranno), ma ci viene spiegata molto bene la forza e la coesione che i Pearsons mettono in campo d’avanti alle difficoltà della vita. 
La struttura del telefilm è un continuo alternarsi tra eventi passati, presenti e futuri, una sorta di puzzle dove mettere insieme i pezzi non stanca, nè disorienta. Piuttosto appassiona e rapisce. 

La serie è interpretata da un parco attori davvero talentuosi, tanto da meritarsi numerosi riconoscimenti nelle due (finora) stagioni realizzate. Milo Ventimiglia e Mandy Moore sono forse i nomi più conosciuti in This is us, ma vi assicuro che il merito è parimenti suddiviso tra tutto il cast. 

Concludo dicendo che This is us è una serie drammatica davvero consigliata che racconta, in maniera molto semplice e attraverso la centralità di una famiglia unita, uno dei valori fondamentali della vita come l’amore.

Ed ora cliccate il tasto per la visione in HD del video che segue e godetevi un assaggio di ciò di cui ho parlato, quello che mi piace definire uno tra i monologhi allegorici sulla vita più belli della tv. 

 

Pensieri sparsi sulla sezione About 📊

AboutMelogo

 

E’ venerdì, è stata una settimana particolarmente faticosa e manca poco al mio weekend. Quindi la soluzione è questa: scrivere un post da cazzeggio, e via così.

Spulciando le statistiche del blog ho scoperto che la pagina di My World… più visitata, tralasciando l’irraggiungibile Homepage/Archivi, è quella intitolata About. La sezione delle informazioni attira più di qualsiasi altro argomento trattato qui, con grande meraviglia da parte del sottoscritto.

Piccola parentesi: da quando WordPress ha introdotto il Lettore le visite al blog, questi numeri sono da ritenersi relativi, proprio perchè non terrebbero conto di tutti gli accessi al blog realizzati attraverso la Dashboard del portale. Tuttavia, al netto delle valutazioni sull’effettiva valenza di questa statistica, trovo questo dato quanto meno singolare.
Poi però mi ricordo di tutte quelle catene che ogni tanto finiamo per fare un pò tutti noi blogger. E qual è il fulcro di queste catene? Conoscerci meglio. Attraverso curiosità, hobby, fatti di vita.

Dunque provo a dare una mia chiave di lettura. La soluzione sta nel fatto che la curiosità è parte di noi, volenti o nolenti. Ben radicata nella natura umana. La fame di sapere ci accompagna e, seppure con percorsi diversi, si finisce tutti per ricercare informazioni su qualcuno o qualcosa. Il che è un bene. Malgrado questo, però, io ho sempre avuto una sezione About scarna e povera di contenuti. Non ho mai riflettuto sull’importanza di dare un biglietto da visita al visitatore, e credo che comunque resterà sempre così.

Ma, visto che siamo tutti un pò curiosi, ora chiedo a voi colleghi: come avete improntato la vostra pagina About (ammesso che l’abbiate)?

Intanto il mio tempo a disposizione è finito. Tra un pò si stacca. Buon fine settimana a tutti.

Nessun uomo è un’isola. Oppure si?

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Nick Hornby
è uno scrittore e sceneggiatore inglese, autore di libri di successo dallo stile ironico e tagliente, come Febbre a 90° e Un ragazzo. Proprio da quest’ultimo romanzo è stato realizzato il film About a boy dei fratelli Paul e Chris Weitz (La bussola d’oro, New Moon), il cui prologo è questo qui:

 

 

Innanzitutto, il mio consiglio è quello di recuperare subito questa pellicola: leggera, dal finale piuttosto scontato, ma con spunti di riflessione davvero interessanti. Uno fra tutti, quello che viene fuori dall’introduzione appena vista. Siamo isole o no?

Personalmente, la natura solitaria mi porta ad avere uno stile di vita da isola, riducendo i rapporti sociali e circoscrivendoli ai modi e i tempi che conciliano il mio modo d’essere. Ovviamente, se allarghiamo l’argomento agli interessi (leggere libri, utilizzare network popolati da una comunità), allora il discorso cambia: non possiamo essere isole. 

Lasciandovi la possibilità di dire la vostra, vi ricordo che siamo entrati nei giorni della merla, il periodo in cui, secondo la leggenda, dovrebbe esserci il freddo più intenso dell’anno. Tradizione che questo 2018 parrebbe smentire. Dalle mie parti, infatti, oggi si sta piuttosto bene.