Remember the past: NIGHTMARE 3 – I GUERRIERI DEL SOGNO

“Sogni. Quei piccoli squarci di morte, come li odio.”

Inizia così, con le parole di Edgard Allan Poe pronunciate da una voce fuori campo, il terzo capitolo della saga sul mostro dal guanto artigliato, Freddy Krueger.
 

14472943_maxKristen (una giovanissima Patricia Arquette) è tormentata da frequenti incubi nei quali si ritrova nella sinistra  casa di Elm Street, teatro in passato di atrocità e terrore. In seguito ad un presunto tentativo di suicidio, la ragazza viene ricoverata in una clinica psichiatrica, dove inizia a confrontarsi con altri adolescenti con tendenze suicide e depressive. Si scopre, così, che tutti pazienti sembrano soffrire dello stesso tipo di disturbo: un incubo in cui un mostro dal volto orribilmente ustionato tenta continuamente di ammazzarli.

Diretto da Chuck Russell (Blob – Il fluido che uccide, The mask, Il Re Scorpione) Nightmare 3 – I guerrieri del sogno (A Nightmare on Elm Street 3: Dream Warriors) si presenta più curato fin dai titoli di testa. La colonna sonora, firmata da Angelo Badalamenti (Twin Peaks), ci introduce sulle note di “Into the fire” nell’atmosfera turbolenta e caotica in cui Kristine si ritrova suo malgrado nella sequenza iniziale del film. Dopo la confusione e l’imprecisione nella storia dei primi due capitoli, stavolta inizia a diventare più chiara la regola che vede le giovani potenziali vittime di Freddy al sicuro solo se lontani dall’ambiente onirico. Tutto frutto della magistrale collaborazione nella stesura dello script tra il regista Chuck Russell, Frank Darabont (The Mist, Le ali della libertà) e il papà creativo di Freddy, Wes Craven. Suo il merito di aver reso la sceneggiatura molto più lineare del suo predecessore, e di aver apportato interessanti novità alla storia.

Gli elementi che differenziano Nightmare 3 sono molteplici. Il contesto si sposta dalle ambientazioni scolastiche dei primi due capitoli alle grigia mura della struttura adibita ad ospedale psichiatrico. Una scelta che, alla luce della buona riuscita di molte sequenze, passa da limitazione a felice intuizione.
Il paragone con i precedenti film della saga ci mostra, poi, come in questo caso vengano approfonditi maggiormente i profili dei personaggi. In tal caso, risulta ottima l’idea di dotare i giovani pazienti di superpoteri utilizzabili, però, soltanto in sogno. E così, Kristen si scopre in grado di trascinare le persone nel proprio incubo; l’ex tossicodipentente, Taryn, diventa bella e spietata; il paraplegico Will riacquista l’uso delle gambe, oltre ad una serie di potenti poteri magici; Kincaid possiede una forza fuori dal comune. Tutto questo, però, non servirà a molto. Perchè la storia ci mostra anche un Freddy più fantasioso nella dinamica dei suoi omicidi: basti pensare a come riesca a trasformare le sue affilate lame in aghi di siringhe piene di eroina. Da mozzafiato anche la scena in cui decide di governare un giovane burattinaio come una marionetta insanguinata.

nightmare-3-1I ritorni. Oltre al tema musicale (assente nel mediocre “numero 2”) ritornano anche Nancy e suo padre, lo sceriffo Donald Thompson. La protagonista di Nightmare – Dal profondo della notte, sopravvissuta al trauma successivo ai fatti che l’hanno vista coinvolta, è diventata una dottoressa specializzata nella cura dei disturbi causati dal sonno. Il suo primo incontro con la giovane Kristen, con tanto di filastrocca (ormai elemento inconfondibile della saga), è a dir poco sorprendente. Nancy è praticamente la co-protagonista della pellicola, mentre la figura del padre rimane più marginale, seppur maggiormente attiva rispetto al suo ruolo nel primo capitolo. Curioso notare come Donald sia l’unico a chiamare ancora l’assassino Fred (da questa terza parte sarà per tutti Freddy Krueger).

cravenanoes3Rivelazioni. Questo terzo capitolo segna un’importante svolta riguardo la storia passata di Freddy. Entra a far parte del soggetto, infatti, sua madre, Amanda Krueger, che si mostra in veste di Suor Mary Helena. La donna racconta di essere stata parte del personale medico di un manicomio dove, in seguito ad un errore, rimase chiusa all’interno di un’ala abbandonata per tutta la stagione estiva. Qui venne nascosta dai malati della struttura che abusarono di lei per molto tempo. Freddy, quindi, è stato il parto bastardo della violenza di centinaia di maniaci.
Ci viene svelata, inoltre, la fonte della straordinaria crudeltà del mostro: sono le anime dei bambini a dargli forza. Un insieme indefinito di volti urlanti che Freddy si porta dietro sul suo petto ustionato.

Tra i segni che contraddistinguono Nightmare 3 ricordiamo soltanto il finale: per porre fine all’ennesima scia di sangue dell’Uomo nero, i resti di Freddy vengono benedetti e sepolti in terra consacrata (un’autorimessa cosparsa d’acqua santa).

La colonna sonora. Il crescente successo del personaggio e, di conseguenza, la maggiore disponibilità di fondi a disposizione, permettono alla produzione di puntare su una colonna sonora rock più curata. Da segnalare, in tal senso, gli ottimi brani dei Dokken, “Into the fire” e  “Dream Warriors”.

Curiosità:

  • Nella scena in cui Jennifer sta guardando la tv, si può notare un segmento di Critters,  fanta-horror del 1986 di Stephen Herek. Successivamente assistiamo ad un simpatico cameo del presentatore Dick Cavett e dell’attrice Zsa Zsa Gabor
  • Nel cast troviamo, nei panni di un infermiere, un giovane Laurence Fishburne (il Morpheus di Matrix). 
  • Come per i precedenti due episodi, il doppiaggio italiano presenta il timbro di voce di Freddy molto cupo, quasi metallico. 
  • Il film ha incassato 44 milioni di dollari.

Citazioni:

“A nessuno frega niente te!” (Freddy, rivolto a Zsa Zsa Gabor)

“Complimenti Jennifer, i tuoi sogni stanno per avverarsi! Non volevi entrare in televisione?”

“Mi dispiace ragazzino ma io non credo alle favole!”

“Scusate il ritardo, vi ho fatto aspettare… Ma avevo bisogno di riflettere!” (Freddy, materializzato in migliaia di specchi)

Articoli correlati:

– Nightmare – Dal profondo della notte
– Nightmare 2 – La rivincita
– Nightmare 4 – Il non risveglio
– Nightmare 5 – Il mito

– Nightmare 6 – La fine
– Nightmare – Nuovo incubo

Remember the past: AVATAR

Tratto da Alone in Kyoto del 22 gennaio 2010
 
 

 “Su e giù per Pandora, il Mondo che non c’è” 

 

 

Avatar - LocandinaDopo la morte del fratello, un ex marine viene reclutato da un gruppo di multinazionali per partecipare ad una missione sul lontano pianeta Pandora, al fine di favorire l’estrazione di un minerale raro in grado di salvare la Terra. Per muoversi, data la tossicità dell’aria, l’uomo si avvale di un Avatar, un essere creato dalla fusione tra il DNA degli umani e quello dei Na’Vi, gli alieni del posto.

Premessa. Io sono per la libertà di espressione, e credo di essere abbastanza aperto ad ogni tipo di confronto. “Ognuno è libero di esprimere e sostenere la propria opinione”, afferma il mio credo. Ma, detto tra noi,  detesto l’anticonformismo spicciolo di coloro che cercano in tutti i modi di andar contro il gregge. Che si parli di Cinepanettoni, dei lavori di Tony Parkinson Scott o, nel caso specifico, della pellicola considerata tra le più importanti dall’inizio del nuovo millennio, non riesco a mandar giù chi è solito sminuire una pellicola con l’intento di sentirsi diverso o, peggio ancora, superiore. Mi sa di snobismo. E detesto lo snobismo quasi quanto le stesse pecore del gregge. 

Detto questo, partiamo subito col dire che Avatar non è un capolavoro. La lista dei difetti della pellicola a cui James Cameron ha lavorato per 13 anni è lunga abbastanza per escludere il film dall’élite del cinema.
Il regista di Terminator, Aliens – Scontro finale, The Abyss e Titanic attinge dal baule storico realizzando un lavoro ibrido in cui alla fantascienza si mescolano influenze che spaziano dall’avventura al fantasy, dalle americanate di grana grossa ai film di guerra. Il contesto in cui si svolge l’ultima mezz’ora, per fare un esempio, riporta alla mente l’orrore e le circostanze al centro del conflitto del Vietnam. Il tutto preceduto da un proclama degno del miglior Braveheart – Cuore Impavido.
Il tratto debole della corda, in Avatar, sta proprio nell’aver voluto imbottire una trama già di per sè flebile e fin troppo telefonata, con una serie di idee riprese da vecchie pellicole e che danno inevitabilmente un lontano senso di dejavu. Il che non sarebbe una novità, se solo non stessimo parlando di una pellicola dalla portata ed ambizione smisurate.

001001Anche la recitazione fallisce nell’impari confronto tra presupposto e risultato finale. Fatta eccezione per le partecipazioni di Giovanni Ribisi (Lost in translation; Nemico Pubblico) e Sigourney Weaver (Alien; The Village), è un cast privo di nomi antisonanti quello che svolge il compitino in maniera sì diligente, ma senza lasciare una traccia rilevante nell’economia della pellicola. In tutta onestà, durante alcune scene in cui la mia attenzione si è soffermata sullo stampo recitativo generale, mi è parso di assistere ad un discreto B-movie, di quelli che vanno in onda durante i martedì sera in piena estate. Ad onor del vero, c’è comunque da sottolineare l’evidente difficoltà legata al dover recitare su un set fatto di sfondi di teli verdi e freddi studios elettronici. 

Ho detto che Avatar non è un capolavoro, è vero. Nonostante i suoi difetti, però, la pellicola (fresca vincitrice di due prestigiosi Globes) si guadagna la promozione grazie ad una regia molto attenta e ad un lodevole lavoro di squadra tra i collaboratori degli effetti digitali e della grafica in generale. In tal senso il film risulta stilisticamente perfetto, con la creazione di un mondo popolato da animali e piante mai concepiti prima, disegnati ed elaborati fin nei minimi particolari, al fine di trasformare il sogno in realtà.
La tecnica 3D, poco invasiva e volta ad esaltare determinati soggetti nella messa a fuoco, ripaga il lavoro di Cameron, valorizzando soprattutto le sequenze girate in soggettiva, attraverso l’uso di speciali telecamere all’avanguardia. Durante le fughe nei boschi di Jake, infatti, vi capiterà praticamente di schivare i numerosi rami delle piante che riempiono l’immensa foresta di Pandora. Le scene migliori, però, vengono offerte dai paessaggi notturni che il pianeta dei Na’Vi offre, con una miriade di specie floreali a far da contorno ad un contesto luminescente da far brillare gli occhi.
Ciò nonostante, non tutti sono rimasti soddisfatti dall’effetto 3D di Avatar. Sentendo qualche commento in sala post-proiezione, alcuni spettatori hanno lamentato il poco coinvolgimento della tecnica, fin tanto che qualcuno ha addirittura osannato il trailer di Alice in Wonderland e la testa dello Stregatto ad un palmo di naso.  Personalmente io ho gradito il modo di utilizzo del 3D nella pellicola. Se non altro non mi ha provocato alcun mal di testa o senso di nausea, a differenza di altri casi. 

Pompato dal processo mediatico oltremisura, a tratti B-movie, a tratti pacchiano, a tratti colossal, Avatar supera comunque l’esame grazie ad una pregevole regia e alle superbe tecniche innovative. Forse non cambierà la storia del cinema, ma l’ultimo film firmato James Cameron rappresenta un sensibile passo in avanti nel settore dell’intrattenimento da

P.s.: La polemica sul mancato divieto ai minori della censua italiana è del tutto infondata. Il film, sigarette della Weaver a parte,  è praticamente innocuo.  

 

Punti di forza: La regia attenta ed innovativa di Cameron; gli scenari mozzafiato; il meraviglioso effetto 3D

 

Punti deboli: La trama prevedibile; le sequenze che sanno di “già visto”; la recitazione non impeccabile;

 

Remember the past: TRICK ‘R TREAT – LA VENDETTA DI HALLOWEEN

Tratto da Alone in Kyoto del 28 ottobre 2009
 
 
 

 “Chi la fa, l’aspetti”

nuova-locandina-di-trick-r-treat-130943_jpg_400x0_crop_q85Un preside sadico ed i suoi strani rituali. Un’affascinante cappuccetto rosso alla ricerca del principe azzurro. Un gruppo di ragazzini testimoni di un oscuro ritrovamento. Un vecchio burbero alle prese con un ospite indesiderato. Quattro storie dell’orrore si rincorrono tra loro, nella particolare cornice della notte più spaventosa dell’anno vissuta in una piccola cittadina dell’Ohio.

L’apertura, in bianco e nero, ci mostra un breve avviso di pubblica utilità in cui si mettono in guardia i bambini sui potenziali rischi celati nella notte di Halloween, specie durante il tradizionale rito del “Dolcetto o scherzetto?”. La sequenza bicromatica lascia presto spazio ad una storiella/aperitivo che anticipa gli strepitosi titoli di testa in stile fumettistico. Una coppia di fidanzati, di ritorno da una parata in maschera, decide di profanare l’evento, violando la regola che vuole la lanterna accesa per tutta  la notte delle streghe. Pessima scelta, come si può prevedere.

trick-r-treat-1Partendo da questo episodio, il regista Michael Dougherty ci mostra una serie di situazioni avvenute nelle ore precedenti, sfruttando al meglio la struttura dell’incrocio narrativo. Lo sceneggiatore di Superman Returns, all’esordio dietro la macchina da presa, scava nel baule delle leggende metropolitane americane e, mediante il vecchio motto del “nulla è ciò che sembra”, gioca con lo spettatore, spiazzandolo in continuazione. In bilico tra impeccabile ironia e tensione equilibrata, Dougherty ci offre una regia mai disordinata, con ottime riprese panoramiche e buona cura degli elementi tipici del contesto halloweeniano.

Forse il maggior merito da riconoscere a Dougherty, però, sta nella capacità (e nella facilità) di passare dalle atmosfere innocue a quelle più inquietanti, attraverso momenti in cui non viene risparmiato qualche onesto brivido allo spettatore. Niente eccessi, però. Nè con gli sbalzi di suono (tipici degli horror contemporanei), nè con lo splatter, nè con gli effetti speciali. A tal proposito, notiamo con piacere come in Trick or Treat sia quasi del tutto assente la tanto dannosa computer grafica (vedi QUI e QUI). L’utilizzo di pupazzi e maschere, invece, dona alla pellicola quel tuffo nel passato che, insieme ad una serie di simpatiche citazioni (La casa 2, In compagnia dei lupi, Cimitero vivente) rende l’atmosfera inebriante per gli amanti del vecchio horror anni ottanta.

trick_r_treat14Un’atmosfera, quella che si percepisce nelle strade di Warrey Valley, in cui prevalgono i colori caldi dei comics e il clima autunnale di fine ottobre. Le lanterne accese lungo i viali, il tappeto di foglie gialle e la parata in maschera avvolgono le mosse dei personaggi, tutti pronti per celebrare al meglio (o al peggio) la suggestiva ricorrenza. Vampiri, zombie, maniaci e la ragazzina più odiosa della storia del cinema horror si muovono nel buio, pronti a convergere in un’indimenticabile (e, per alcuni, ultima) notte di terrore.

Per concludere, diciamo che pur offrendo delle storie molto semplici, Trick ‘r Treat è indubbiamente il miglior film degli ultimi vent’anni sul tema di Halloween. Un’autentica perla capace di diffondere quell’atmosfera e trascinare il pubblico nella festa più affascinante e suggestiva dell’anno.

Articoli correlati:

– Dolcetto o scherzetto?
Halloween nel mio passato
Halloween 2006
Halloween 2007
– Guida Tv per la notte di Halloween – Versione 2014

Remember the past: NIGHTMARE 2 – LA RIVINCITA

Tratto da Alone in Kyoto del 6 febbraio 2009
Nightmare 2 poster
Sono passati cinque anni dagli orribili fatti di Springwood. Sembra che Nancy sia impazzita, e ad abitare il 1428 di Elm Street c’è ora una nuova famiglia, i Walsh. Uno dei figli, il giovane Jesse, diviene ben presto il prescelto di Freddy (qui chiamato ancora, in maniera severa, Fred) che si servirà di lui per compiere una nuova, copiosa, scia di sangue…

It’s all about the money. E’ questo il primo pensiero che viene in mente dopo l’ennesima re-visione del sequel di Nightmare – Dal profondo della notte. Il film, di fatti, è un chiaro tentativo (riuscito, se consideriamo gli incassi) di sfruttare il successo del personaggio creato da Craven. Peccato che a farne le spese sia stata la qualità e lo spessore di tutti gli altri fattori: trama, cast, sceneggiatura, regia.

Eppure Nightmare 2 – La rivincita (A Nightmare on Elm Street 2 – Freddy’s Revenge) inizia seguendo il consueto canone stabilito dal suo predecessore, vale a dire con un incubo. Contesto e protagonisti sono un autobus della scuola che sta trasportando il sudatissimo Jesse e due sconosciute ragazze. Improvvisamente, il conducente effettua una brusca deviazione verso un percorso desolato. Paura e urla popolano il mezzo fino a quando non finisce per trovarsi in bilico su di un’area circondata dal suolo che sprofonda. Finalmente entra in scena il mostro, la star dell’ambiente onirico, Fred Krueger. Solo che quelli della New Line, in questo capitolo, hanno ben pensato di spostare il suo raggio d’azione nella realtà. Krueger s’impossessa di Jesse, influenzandone il comportamento e arrivando addirittura ad uccidere mediante la sua mano. Un azzardo che rende del tutto inefficace l’idea originale del personaggio (l’Uomo Nero che si serve dei sogni per mettere a tacere per sempre la vittima di turno) e che finisce per ottenere come risultato una prevedibile bocciatura del soggetto. Le strane situazioni a cui si assiste nel mondo reale, come l’aumento improvviso della temperatura e gli uccellini che impazziscono, contribuiscono a rendere questa pellicola tra le più deboli della saga proprio perchè è fuori dagli schemi. Sul finale, poi, Fred si rivela a tutti i partecipanti del piscina-party, ponendo una chiara dissonanza con il fattore fondamentale del plot originale (non a caso questa seconda storia viene del tutto ignorata nei capitoli successivi). Pessimo ed improbabile anche il finale romantico, con l’amore che annienta il mostro.

a-nightmare-on-elm-street-freddys-revenge-mark-pattonRegia ed Effetti Speciali. La direzione del giovane regista Jack Sholder (L’alieno) ci mostra ancora una volta un’ambientazione scolastica, ma anche un’eccessiva lentezza nei ritmi. Ottimi invece gli effetti speciali, i cui meriti vanno soprattutto al responsabile del trucco Kevin Yagher, capace di ricreare da zero le fattezze di Fred (le foto tecniche del primo capitolo erano andate perse).

Colonna Sonora anonima. Come già rilevato nel suo predecessore, anche Nightmare 2 – La rivincita presenta pochissimi brani musicali, mentre bisogna evidenziare come questo sia l’unico caso della saga in cui è completamente assente il tema musicale originale.

Jessie affonda il guantoGli elementi ricorrenti in Nightmare 2 sono davvero pochissimi. Da segnalare, oltre all’abitazione e alle sembianze di Krueger, una nuova variante della filastrocca.

Riguardo la vita di Fred, arrivano invece rivelazioni inerenti l’attività dell’uomo: pare che il nostro assassino lavorasse nella caldaia dove poi, in seguito, verrà arso vivo dai genitori delle vittime di Springwood.

Le scene cult di questo mediocre secondo capitolo sono la sequenza dell’autobus impazzito e l’intera scena dell’assassinio di Ronny, soffocato e poi smembrato dal brutale Krueger, precedentemente “sbucato fuori” dal corpo di Jesse.

Citazioni:

“Tu sei il braccio ed io la mente”

“Ritorna da me Jesse, io ti amo”

Articoli correlati:

– Nightmare – Dal profondo della notte
– Nightmare 3 – I guerrieri del sogno
– Nightmare 4 – Il non risveglio
– Nightmare 5 – Il mito
– Nightmare 6 – La fine
– Nightmare – Nuovo incubo

Una bella scoperta: Gli Ex-Otago

Ex Otago dress

 

Sanremo 2019 è stato consegnato agli archivi. Un’edizione controversa e piena di polemiche che sta avendo strascichi imprevisti ancora oggi. Chi ha vinto e chi ha perso (e come ha perso) affrontano giornalisti ed esperti di settore a colpi di dichiarazioni, smentite ed assenze ingiustificate in tv.
Tuttavia c’è una realtà che sembra essere passata in sordina, forse proprio perchè provocazioni e critiche non riescono a far presa sulla loro immagine. Una band dalla faccia pulita che onestamente non conoscevo, ma che mi piace ogni giorno di più. Sto parlando degli Ex-Otago

Gruppo genovese fondato nel 2002 (quasi 20 anni di storia di cui personalmente ignoravo l’esistenza!), gli Ex-Otago nascono nella loro formazione originaria come un trio acustico, salvo poi trasformarsi e rinnovarsi, col tempo, nel progetto indie pop attuale. Il nome, così singolare, deriva da una squadra di rugby neozelandese che ha nel suo palmarès la vittoria di un campionato da outsider. 
Allo scorso Festival hanno partecipato con il brano Solo una canzone (QUI per l’ascolto) ballad romantica che racconta le difficoltà di un amore non più giovane, raggiungendo un rispettabilissimo 13esimo posto su 24 artisti in gara. 

Incuriosito, quindi, ho iniziato ad ascoltare su Spotify il loro ultimo album, Corochinato. Ed è stata la conferma del colpo di fulmine.

Premesso che il mio giudizio è fondato esclusivamente sul suddetto lavoro, non posso che rimarcare la buona impressione data da Solo una canzone. Le sonorità dell’album ricordano quelle anni ottanta, periodo in cui primeggiava il synth e tutti quei suoni artefatti ed elettronici che avvolgevano la maggior parte dei brani. A tal proposito, il primo accostamento che mi è venuto da fare quando ho ascoltato questo album è stato quello con i Thegiornalisti, un altro gruppo che è partito dal circuito indie per poi affermarsi su scala commerciale. 

I testi delle canzoni di Corochinato sono per la maggior parte dei racconti, a volte senza cantato, sull’amore e le sue sfumature. Dall’amore agli albori a quello consolidato, da quello in crisi fino a quello giunto al termine ma non accettato. Canzoni parlate, a volte anche con una metrica che balla sul filo del rasoio, ma che trattano i temi in maniera inedita e spesso leggera. 

Menzione di merito speciale per il frontman Maurizio Carucci e la sua zeppola che ricorda quella Jovanotti. Un ragazzone simpatico e spigliato che sa tenere il palco e che (sembra) non essersi montato la testa. 

Per concludere vi lascio con una preview di Spotify contenente tutti i dieci brani dell’album Corochinato. Buon weekend.

 

 

Remember the past: NIGHTMARE – DAL PROFONDO DELLA NOTTE

Tratto da Alone in Kyoto del 28 gennaio 2009

Poster di Nightmare - Dal profondo della notte

Ha il volto deturpato dalle cicatrici ed il fisico asciutto. Indossa un maglione sfilacciato a righe orizzontali rosse e verdi ed uno strano cappello. La sua mano destra è avvolta da un guanto dal quale partono lunghe lame affilate. S’insidia negli incubi dei giovani, terrorizzandoli e massacrandoli fino alla morte. E’ Freddy Krueger, uno dei più famosi mostri degli anni ottanta.

Il capostipite della fortunata saga sull’assassino dei sogni inizia con un’introduzione che ci mostra la realizzazione del guanto letale. Una validissima scena in formato ridotto (il tutto è ripreso in un riquadro dai contorni neri) che fa da preambolo al primo incubo di Tina, adolescente tormentata dalla presenza nefasta dell’ “Uomo nero”. La storia si svolge nella piccola cittadina di Springwood e si evolve assumendo, ben presto, le sfumature del teen-horror. Tina, approfittando dell’assenza dei suoi genitori, invita alcuni amici, Nancy e Glen, a casa per la notte. A loro si unisce il ribelle fidanzato, Rod, con il quale passerà la sua ultima notte di vita. Dopo l’omicidio di Tina, Freddy farà cadere, uno dopo l’altro, tutti i suoi amici. Ma Nancy non ha intenzione di abbandonarsi al sonno…

Uscito nelle sale nel 1984, Nightmare – Dal profondo della notte (A Nightmare on Elm Street) non parte come un lavoro pretenzioso. Il regista Wes Craven dovette lottare tre anni prima di ottenere il finanziamento necessario alla realizzazione della pellicola. Fu Robert Shaye,  l’allora presidente e fondatore della New Line (una modesta casa di produzione indipendente), a decidere di sposare la sua causa stanziando la somma di due milioni di dollari. Nessuno poteva prevedere un successo tanto importante da garantire alla pellicola la cifra record di 26 milioni d’incasso.
Craven, inizialmente, ideò il personaggio di Freddy come un uomo dal volto devastato dalle fiamme, con una dentatura orribile ed una bocca deformata fino all’inverosimile. La sua concezione, però, era poco attuabile su un soggetto quasi sempre presente sulla scena. Si optò così sull’effetto suggestione: invece di mostrare il mostro alla luce del giorno, si scelse di farlo agire sfruttando le ombre e giocando molto sulla paura che sopraggiunge più dall’immaginazione che da ciò che realmente viene mostrato. Questa particolare caratteristica è uno dei motivi secondo i quali in molti ritengono che Nightmare – Dal profondo della notte sia il migliore e più riuscito film dell’intera serie. In ogni caso, il trucco realizzato da David D. Miller risulta essere pregevole, con le ustioni del volto molto più reali di quelle presenti nei successivi capitoli.

Ombre di Freddy Krueger

Girato in sole quattro settimane, il film non propone una recitazione impeccabile, sebbene costituisca il debutto cinematografico di Johnny Depp. Vincente è, invece, l’idea di fornire una maggior interazione tra il serial-killer e la vittima di turno, con Freddy capace di spaventare anche attraverso delle frasi ad effetto. Una cosa del tutto innovativa nel periodo in cui Jason in Venerdì 13 e Michael in Halloween si limitavano ad ammazzare senza mai proferire parola.

Gli elementi che contraddistinguono questo primo capitolo sono molteplici. Innanzitutto il nome: lo psicopatico assassino di Elm Street viene chiamato, in maniera più formale, Fred Krueger. Una particolarità che rende l’aspetto dell’Uomo Nero ancor meno “familiare”. A questa curiosità va associata un’altra caratteristica che è quella dell’assenza quasi totale del fattore ironico: Fred è cupo, è crudele, e non ha nè tempo nè voglia di dispensare frasi divertenti. Per quello ci sarà spazio in futuro.
Nightmare – Dal profondo della notte non possiede un vasto campionario di musiche. Del tutto assenti le canzoni, le parti musicate si limitano all’utilizzo del solo celebre tema che ha reso immortale questa serie.

Il film segna anche la presenza di alcuni importanti indizi sul passato del mostro di Springwood: in questo primo capitolo la madre di Nancy racconta la storia di Fred, un maniaco che uccise più di venti bambini del quartiere. In seguito all’arresto e alla successiva scarcerazione dell’uomo, i genitori delle vittime decisero di farsi giustizia da soli. Una notte trovarono Fred in una caldaia abbandonata e decisero di bruciarlo. Nessuna menzione in merito al lavoro abituale del serial-killer, nè sul motivo dei suoi squilibri. Mostrata anche l’origine delle sbarre alle finestre della casa di Nancy.
Scene cult di questo primo capitolo. Oltre alla filastrocca cantata da alcune bambine vestite di un bianco luminoso, sono di rilevante importantanza la scena del letto che inghiotte il povero ragazzo di Nancy e quella di Tina che si trascina dietro avvolta in un sacco mortuario trasparente.

Curiosità:

  • L’esterno della casa, il 1428 di Elm Street,  mantenuto anche nei successivi capitoli, non era una ricostruzione in studio, ma la facciata di una vera abitazione di Genesis Avenue a Hollywood.
  • Origine del nome. Il nome e l’aspetto di Fred Krueger scaturiscono da due ricordi d’infanzia del regista: il primo da quello di un ragazzo che al tempo della scuola lo maltrattava, mentre l’aspetto deriva da quello di un barbone che gli feceva molta paura.
  • L’ispirazione per il film è venuta al regista dopo aver letto alcuni articoli di giornale che narravano di un gruppo di ragazzi che soffrivano di incubi e che, per questo, si rifiutavano di dormire. Uno di loro, in seguito ad un brutto sogno, si svegliò di colpo urlando, dopodichè cadde a terra morto per cause sconosciute.
  • La scena di Glen che entra nella camera di Nancy dalla finestra è stata ripresa dallo stesso Craven nel film Scream (1996).
  • Il film, nelle intenzioni del regista, avrebbe dovuto avere un finale del tutto buonista, con Nancy e gli amici restituiti alla vita e con la madre che non viene risucchiata dal mostro. Il definitivo finale aperto è stato un’idea della produzione, in modo da garantire l’eventuale realizzazione di un sequel.
  • Nel dvd della Eagle Pictures sono presenti delle scene che nella versione televisiva (quella trasmessa, per la prima volta, da Notte Horror nel 1991) erano state tagliate. La scena dell’omicidio di Tina è una di queste ed è visibile priva di doppiaggio.

Citazioni:

“E’ mezzanotte, e questa è TeleKruger che vi da la buonanotte…”

“Ti strappo il cuore!”

Articoli correlati:

– Nightmare – La rivincita
– Nightmare 3 – I guerrieri del sogno
– Nightmare 4 – Il non risveglio
– Nightmare 5 – Il mito
– Nightmare 6 – La fine
– Nightmare – Nuovo incubo

Raw – Nudo e crudo

RAW


Tratto da Alone in Kyoto del 9 dicembre 2008

 

Se scrivo Eddie Murphy qual è la prima cosa che vi viene in mente? Quale interpretazione associate al suo nome? Alcuni di voi lo ricorderanno soprattutto per la parte di Billy Ray in Una poltrona per due, altri per il ruolo del poliziotto Axel Foley in Beverly Hills Cop, oppure per quello del neo sovrano Akeem ne Il principe cerca moglie. Murphy ha avuto un enorme successo negli anni ottanta, diventando l’icona di una comicità costruita su battute ad effetto e dal linguaggio irrispettoso.

Uno dei maggiori successi che ne hanno incrementato la fama in quello che è stato indubbiamente il suo periodo migliore, è il semi-sconosciuto Raw – Nudo e crudo, spettacolo tenutosi al Felt Forum del Madison Square Garden di New York nel 1987. Un vero e proprio show-evento, come si intuisce fin dai titoli di testa intervallati da una serie di interviste sottoposte ad un pubblico entusiasta. Diretto da Robert Townsend, lo show è preceduto da uno sketch ambientato in un appartamento abitato da persone di colore, in cui un piccolo Eddie (Deon Richmond) intrattiene i parenti raccontando barzellette dal sapore amaro (e piuttosto stupide, a dire il vero). L’idea è quella di evidenziare, fin dal video introduttivo, l’aspetto sfrontato che ha sempre contraddistinto l’attore. Titoli iniziali, dunque, e si parte con lo spettacolo.

Sul palco l’attore afro-americano, vestito in abito lucido, viola e nero, capigliatura rasata sui lati. Un saluto al pubblico e comincia il monologo. Murphy parte subito forte, come una macchinetta, senza fermarsi un secondo. Un’ora e mezza di contenuti in cui l’attore sfodera tutte le sue qualità, prendendo in giro in modo molto volgare, celebrità e costumi di quel tempo. Si passa da Mr. T a Michael Jackson, dagli omosessuali a Bill Cosby, dai matrimoni d’interesse ai rapporti promiscui. Le fantasie sessuali, i tradimenti, le ragazze timide, i bambini piagnoni, fino ad arrivare agli italiani. Ebbene si, anche i nostri luoghi comuni (in questo caso, gli atteggiamenti da bullo) vengono sbeffeggiati dall’attore. Murphy spazia da un argomento all’altro con la facilità del grande artista, collegando gli argomenti e riproponendoli anche a distanza di un’ora. E’ razzista quando parla dei bianchi, maschilista quando prende in giro le donne, scorretto quando si rivolge alle comunità gay di San Francisco (forse l’unico neo dello show).

Malgrado lo script sia influenzato dalla situazione sociale della seconda metà degli ottanta, gli elementi analizzati da Eddie possono essere riportati perfettamente alle situazioni vissute nei giorni nostri. Lo show, infatti, vive i suoi migliori momenti quando l’attore prende di mira i rapporti di coppia e intersociali, tirando in ballo il pubblico, e smascherando i falsi moralisti e l’apparente normalità mostrata dalla gente. Eddie gioca con loro, colpendoli quando meno se l’aspettano e tirando fuori le verità scomode, in un vortice di situazioni e gag in cui si ride e si riflette allo stesso tempo.

Il monologo è quasi interamente infarcito di parolacce (non per niente il film, all’epoca, scalzò Scarface al primo posto nella classifica delle pellicole con il maggior utilizzo della parola “Fuck”), ma dopo l’impatto iniziale molto forte, ci si fa quasi l’abitudine. Proprio per questo motivo, però, mi è quasi impossibile riportare tutte le citazioni dallo show, sebbene questo ne contenga una miriade e tutte memorabili.
Per concludere, Raw è un one-man show a cui non siamo molto abituati nel nostro paese, ma che colpisce dritto lo spettatore, come un pugno rivestito di zucchero filato. Sboccato, volgare, irriverente, crudo. Uno spettacolo che parte a mille all’ora e che finisce in scemando, senza perdere però il ritmo. Ciò che conta, comunque, è che ne siano state dette tante. E tutte vere.

 

CITAZIONI:
“Che cosa hai fatto per me recentemente?”

 

Go – Una notte da (non) dimenticare

Go Una notte da dimenticare Teaser Poster

 

Di film destinati all’anonimato ne è piena la storia del cinema, ed io mi sono sempre interrogato sul motivo per cui questi titoli finiscono col passare in sordina per poi lasciar sbiadire le loro già precarie tracce.  A parer mio, alcuni di questi non meritano l’oblio. Ed è per questo che oggi voglio spendere qualche parola per Go – Una notte da dimenticare.

 

Go Una notte da dimenticare HDPellicola della fine degli anni novanta, tempi in cui per vedere un film in prima visione di domenica sera dovevi approdare al più vicino Blockbuster, munito della tua tessera fedeltà. In quegli anni era tutto eccessivamente pop ed underground, e i primi rave party facevano prepotentemente capolino come alternativa allo svago dei più giovani. Go trasuda tutto questo, ne coltiva la storia e fa di essa una sorta di manifesto di quella fetta di gioventù bruciata di quegli anni.

Go RonnaIl filone è uno di quelli a me più cari, quel Tutto in una notte che mi intrattiene parecchio e mi tiene incollato alla poltroncina del cinema di casa. Quattro storie si intersecano tra loro, tra i tasselli di un puzzle cronologicamente lineare che richiama la struttura delle pellicole di un certo periodo Tarantiniano. La notte viene vissuta da quattro prospettive differenti, completando sul finale il grande mosaico prodotto. Ma non è solo la tecnica di montaggio a fare il verso ad un certo genere di cinema. I dialoghi e le situazioni palesemente irrealistiche del film di Doug Liman sfociano spesso nel non-sense più assurdo, dando vita ad una sorta di Pulp Fiction acerbo che piacerà agli amanti del genere.

Il cast è formato dai “Saranno famosi” dell’epoca, giovani promesse che, a dire il vero, hanno nel tempo disilluso le aspettative. Spiccano su tutti i nomi di Katie Holmes (la Joey di Dawson’s creek ed ex Sig.ra Cruise), William Fichtner (Armageddon, Crash) e Sarah Polley (talentuosa regista, qui nei panni di attrice). 

Go ScreamLa colonna sonora di Go gioca un ruolo importante all’interno della pellicola, proprio perchè tutta la storia viene mostrata come se fosse un frenetico videoclip. La stessa soundtrack, poi, può vantare la partecipazione di numerosi artisti celebri degli anni novanta come i No Doubt, Natalie Imbruglia e Fat Boy Slim. Anche le musiche strumentali (la cosiddetta Score) che accompagnano le vicende notturne dei protagonisti, hanno un’impronta fortemente trip hop, genere molto in voga all’epoca. 

In conclusione, vi rinnovo il mio parere favorevole alla visione di Go – Una notte da dimenticare. Un film per nulla pretenzioso, che gioca a prendersi in giro, e che però può facilmente intrattenere il pubblico, specie quello in cerca di un tuffo negli anni novanta americani.

The Place – Un posto fuori dalla mappa

The Place

 

ALERT!: Questo articolo contiene spoiler.

Non sono più quello di una volta. Non ho il tempo di essere quello di una volta e di dedicarmi alle mie passioni come vorrei. Il poco spazio a disposizione (che poi già mancava in questi anni) mi ha costretto a fare delle scelte imbastendo una cernita delle mie priorità in termini di hobby. Il risultato è che non riesco più ad occuparmi di cinema come prima (i tempi di Alone in Kyoto sono lontani). Anzi, ho abbandonato quasi del tutto questo campo. 

Tuttavia, ci sono dei film le cui premesse ed anteprime mi colpiscono e che poi cerco di recuperare, magari a più riprese. Questa cosa, ad esempio, è successa per The Place di Paolo Genovese. La buona premessa, in questo caso, è dovuta dal fatto che Perfetti sconosciuti (penultimo lavoro del regista) mi abbia entusiasmato al punto tale da idolatrarlo e consigliarlo a tutti. Peccato che, cast corale a parte,  The Place sia tutt’altro. 

La trama. Un uomo siede ogni giorno all’interno di un ristorante, ricevendo la visita di diverse figure, promettendo di accontentare le loro richieste in cambio di un’azione da portare a termine. 

Fin qui sarebbe un film dalle grandissime possibilità. Tuttavia si perde nel tentativo di portare avanti una trama che non arriva mai a nessun colpo di scena. Se le prime fasi della pellicola sono tutte proiettate sui primi piani del protagonista e sull’aria misteriosa che lo circonda (quasi a spronare ad interrogare lo spettatore sulla vera identità del tizio), il resto di The Place è lineare e lento ai limiti del piattume. Tutti gli eventi che si svolgono nell’unica location mostrata (anche questo un azzardo per un pubblico che non è quello da teatro) seguono la stessa struttura tra loro: Qualcuno ha bisogno di qualcosa, si fa un accordo, qualcosa va storto, si ravvedono. Fine.

E non basta un buon parco di musiche (quasi tutte strumentali), un’ambientazione le cui luci al neon la fanno da padrone ed un cast più che buono. Il film non decolla. Insomma, pur applaudendo al coraggio di realizzare una pellicola fatta esclusivamente di dialoghi, ci vuole altro. O rendi le parole memorabili, o realizzi una trama che porti a qualcosa.

Ed invece, in The Place inizi la visione spinto dalle domande sul protagonista e il suo operato (“Chi è? Che fa? Lo vedono tutti? Perchè tutti gli altri sono prevalentemente calmi, anche quando gli animi si scaldano?”) e finisci a cercare una svolta che non arriva mai. 

Ritentateci meglio.