Un direzione giusta che ora non ho



Eccomi di nuovo qua. Ancora alle prese col foglio virtuale su cui buttare giù i miei pensieri. E devo ammettere che ne sono molti di pensieri, ultimamente.

Sono giorni strani per me. Giorni caratterizzati dall’alternanza di umori interiori che fanno a pugni tra di loro e che mi impediscono di trovare la direzione giusta verso l’equilibrio e la serenità. Ammesso che esista una direzione.

Ormai sono passato dall’essere un ragazzo dai tanti interessi e le tante passioni ad un uomo dalle innumerevoli incertezze e i pochi punti fermi nella propria vita.

Però scrivere mi fa bene. E questo posto mi ha sempre accolto ed ha sempre raccontato di me.

E allora lasciamo parlare il foglio. Che forse qualcosa in più lo sa comunicare.

Tanto per cominciare mi sono accorto che è passato da poco il compleanno del blog. 16 anni dal primo respiro di My World…. Praticamente un quinto della prospettiva di vita media è raccontato su queste pagine. Allora non ero nemmeno ancora ospitato da WordPress, ma da Splinder. Una piattaforma meno professionale, ma forse più genuina e semplice. Un pò come la mia vita di allora. E malgrado non riesca più a scrivere con la frequenza e la creatività di un tempo (ricordiamoci tutti che io scrivo dal pc dell’ufficio, e il lavoro ormai è tanto e non mi permette le pause di prima) io continuo a lasciare tracce, perchè questo posto ha un suo richiamo su di me. Ad ogni modo, tanti auguri posticipati al My World… che mi permette sempre di imprimere sulle sue pagine nuovi capitoli e contenuti.

Allora, è appena successa una cosa curiosa e voglio che venga raccolta qui. Proprio mentre vi stavo scrivendo della mia volontà di iscrivermi in palestra, ho ricevuto un messaggio. Mio fratello mi chiede di andare a fare boxe insieme. Ed io volevo appunto parlare del fatto che non ho mai fatto palestra, se non forse una ventina di anni fa, per un mese, e un altro paio di mesi di palestra “fai da te in casa” (tra l’altro, salutiamo la sciatalgia che non mi ha mai più lasciato da allora). Ma quello della palestra è sempre stato un mio pallino. In primo luogo perchè da quando ho buttato giù i chili di troppo ho un corpo che manifesta impietosamente il fatto che non ho muscoli degni di essere definiti tali. E poi perchè, mai come in questo periodo, ho bisogno di qualcosa che mi tenga impegnato. E che mi permetta di confezionare delle esperienze nuove. Per la cronaca, dopo il mio Si al messaggio di mio fratello, non ho ricevuto ancora alcun seguito.

Passando ad altro, ultimamente sto cercando di sfoltire la lista di serie tv da vedere. Proprio ieri ho iniziato Ted Lasso, storia di un manager di calcio che viene ingaggiato da una squadra minore inglese e proiettato in una realtà totalmente differente dalla sua. Il pilot di questa serie è stato una piccola perla con una forma di umorismo piuttosto sofisticata. Ed io non vedo l’ora di continuarla per vedere se il seguito confermerà le mie buone sensazioni. Intanto sto provando a mettermi al passo con The Walking Dead, ed ho iniziato il rewatch di Californication. Giusto per ingolfare un pò di più la mia lista.

C’è una cosa però che posso fare mentre mi occupo di altro e che non mi toglie tempo, come invece mi fa il dover scrivere sul blog o guardare serie tv, ed è ascoltare la trasmissione di Enrico Silvestrin.
Chi come me è stato adolescente nei meravigliosi anni novanta, si ricorderà del monopolio senza pari che aveva Mtv, l’emittente incentrata sulla musica e sugli approfondimenti di questo campo. All’epoca Silvestrin è stato tra i primi a volare a Londra per lavorarci, diventando poi anche uno dei Vj più noti quando la stessa Mtv decise di fondare una sede dislocata qui da noi. Di seguito Enrico si è occupato di cinema e reality, ma non ha mai abbandonato il suo interesse per la musica. Oggi Silvestrin propone su Twitch un programma dalle 14 alle 16 (e che quindi posso seguire durante la mia pausa pranzo) di approfondimento musicale e che ha, tra le sue vocazioni, quella di mettere al corrente la sua utenza sull’utilizzo della musica attuale e sulla deriva che stanno prendendo alcuni generi, facendo luce sulle alternative che il mercato offre e delle quali, in Italia, non si parla.
Personalmente trovo che il modo di condurre e di argomentare di Silvestrin sia davvero piacevole, quasi magnetico. E questo tipo di intrattenimento è ciò che mi serve per riempire i vuoti di queste mie giornate.

Ok, penso di aver finito, per stavolta.

Anzi no. C’è una bonus track per i più temerari che sono riusciti ad arrivare fino alla fine di questo articolo: Voglio imparare a cucinare. Al momento è solo un desiderio, perchè non avendo ancora una casa mia è impossibile cimentarmi in questa cosa che però, devo dire, mi affascina molto. Per ora finisce anche questa tra le cose da fare. Un desiderio in più.

Accidenti. Rileggendo il post mi rendo conto che ho scritto tanto, ma niente di cui avevo pensato di scrivere oggi.

Eppure questa cascata di parole mi è servita. E forse una direzione giusta l’ho trovata. La direzione dettata da questo post, che mi ha portato proprio dove volevo. Verso la serenità.

Come in un episodio di Black Mirror

Provate ad immaginare se tempo fa qualcuno fosse arrivato nella vostra vita, un tizio qualunque, e vi avesse anticipato questa prospettiva:

«Tra qualche anno il mondo dovrà fermarsi. Voi dovrete restarvene chiusi in casa. Non potrete avvicinarvi a nessuno. Dovrete indossare obbligatoriamente delle mascherine protettive. Non potrete andare in giro senza un motivo giustificato da autocertificare su un pezzo di carta da esibire su richiesta delle forze dell’ordine. Tutti i campionati di calcio del mondo si fermeranno nel bel mezzo della fase clou della stagione. Tutto lo sport dovrà fermarsi, anche quelli che tenteranno fino all’ultimo per mandare avanti la giostra. Quei pochi programmi televisivi che andranno ancora in onda in diretta lo faranno senza la presenza del pubblico. Le vostre serie tv preferite verranno sospese o trasmesse solo in lingua originale mentre l’uscita dei nuovi film in programma al cinema verrà annullata o posticipata. Tutto questo mentre gli Stati di tutto il mondo cercheranno di porre riparo alla crisi economica mettendo in atto forme di sostentamento ai cittadini.»

Ora io lo so che questo preambolo oggi non vi suonerà più tanto strano, dal momento che siamo ormai da quasi due mesi in piena emergenza da pandemia del Covid-19. Ma fermatevi un attimo, rileggete il periodo iniziale, chiudete gli occhi ed immaginate la scena tornando indietro nel tempo.
E ora alzi la mano chi non ha pensato ad un fantasioso (e in tal senso affascinante) episodio distopico della famosa serie tv Black Mirror. Uno scenario fuori dalla logica delle nostre vite, fino a qualche tempo fa. E invece oggi… Da brividi.

Aldilà di questa agghiacciante premessa, volevo giusto tirare giù un paio di considerazioni per imprimere su queste pagine il mio io ai tempi della pandemia. Sono ormai quasi due mesi che non metto il naso fuori dal viale di casa. L’ultima volta che sono andato a lavoro in ufficio è stato l’11 marzo. Da allora ho lavorato da casa (il termine smart working è diventato d’uso comune di questi tempi) e devo ammettere di averlo fatto ancora di più di quando sbrigavo le pratiche dalla scrivania dello studio. Peccato però che alla consistente mole di lavoro abbia fatto da contraltare l’assenza dei pagamenti da parte dei clienti, il che ha prodotto un fastidioso paradosso umorale in me. Effetto domino.

Capitolo lavoro a parte, posso serenamente affermare come la reclusione forzata non mi abbia minimamente influenzato sotto il profilo mentale e dello stato d’animo. Ovviamente fa la sua parte il fatto che impiego ancora gran parte della giornata a lavorare, però io credo che dipenda soprattutto dal carattere e dallo spirito d’iniziativa delle persone. E quindi, mentre tutti intorno a me sembrano mostrare insofferenza, sbalzi d’umore e continue lamentele per il persistere dei giorni passati in casa, io ho tratto dal cambio di stile di vita il piacevole gusto della novità.

Innanzitutto ho imparato ad osare. Dato il protrarsi della chiusura forzata dei barbieri, mi sono finalmente tolto lo sfizio di rasarmi totalmente i capelli. Tanto ricresceranno, mi sono detto. E poi mi vedo molto meglio di quanto potessi immaginare.

Ho capito l’importanza benefica del sole. Prima di questo periodo mi sono sempre limitato dallo stare a prendere il sole sul balcone, preoccupandomi di risultare troppo inadeguato al contesto. E invece mi sono accorto che il sole, quando c’è, funge davvero un ruolo essenziale sul mio fisico e la mia mente. Quindi me lo godo, anche sul balcone.

Sto rivalutando l’Universo Marvel. Nonostante mi sia sempre considerato un nerd, i film della Marvel (che per noi nerd sono una sorta di marchio distintivo) non hanno mai attirato la mia attenzione. La quarantena (… e Disney+) mi ha dato lo slancio per iniziare questa lunga maratona con protagonisti i supereroi più amati del mondo e, facendo il giusto compromesso con la logica e con l’età, ho capito che riesco addirittura a farmi passare le 2 ore di visione senza annoiarmi.

Infine il calcio. E’ incredibile come un appassionato incallito del Napoli come me possa essere arrivato a farne senza. Nessun peso, come se non fosse mai esistito nella mia vita. Anche questo è il potere del periodo che viviamo. Si dice che un’abitudine ha bisogno di 21 giorni per insinuarsi nella vita di un individuo. Questo parametro viene usato per chi vuole smettere di fumare, ad esempio, o per chi è a dieta ed ha delle abitudini alimentari eccessive. Beh, io credo di aver sperimentato questa cosa nella mia dipendenza col calcio. E funziona.
L’unica cosa che i 21 giorni della teoria non riescono proprio a farmi smettere (ma nemmeno in 21 anni, mi sa) è il credere ancora in questo. Ma quell’ideale prima o poi imparerò ad accettarlo senza dolore.

Le serie tv che meriterebbero di arrivare in Italia

The Twilight zone Italia

 

Ultimamente sono in fissa con le serie tv. Non che non lo sia mai stato, seguire le serie rientra tra le mie passioni, solo che in questo periodo ci sto proprio dentro. Complice TV Time, un app che permette di tenere conto di tutte le puntate viste e da vedere, e che svolge un occulto lavoro di assuefazione da intrattenimento.  Quasi una droga, insomma. Un incentivo a collezionare nuovi contenuti. E, come qualcuno di voi forse ricorda, io ho sempre avuto un debole per le collezioni.

Dunque, sono diventato quasi un cacciatore di serie tv, tanto da essere finito oltre la trincea, oltrepassando la zona di confine in cui si trovano i prodotti che non sono ancora arrivati (e forse mai lo faranno) da noi italiani. Ed ho trovato roba davvero interessante. 

Ricordate la serie cult ideata da Rod Serling “Ai confini della realtà”? Era una serie tv antologica i cui episodi avevano in comune l’essere ambientati in un universo parallelo fantastico. Oltre ad aver ispirato un film (molto buono) verso la metà degli anni ottanta, Ai confini della realtà si può dire che sia stato il precursore di quel Black Mirror tanto acclamato dalle nuove generazioni. Stesso cinismo ed un effetto sorpresa shock che è stato il marchio di fabbrica per gli episodi di entrambi i prodotti. Dopo due tentativi di revival mal riusciti (nel 1985 e nel 2002), il soggetto di The Twilight Zone (questo il titolo originale della serie, QUI) torna alla ribalta grazie all’emittente CBS All Access, trovando alla produzione il premio Oscar Jordan Peele (Scappa – Get out, Noi). La mia valutazione soggettiva, quando sono ormai arrivato al quinto episodio è una promozione totale. The Twilight Zone 2019 ritrova gli elementi tipici della serie originale omaggiandola con numerose easter eggs che strizzano l’occhio ai più nostalgici. Tra l’altro è stata già rinnovata per una seconda stagione. 

 

THE TWILIGHT ZONE – TRAILER

 

In Italia la piattaforma che distribuisce contenuti d’intrattenimento via streaming più conosciuta è indubbiamente Netflix. Ma ci sono altre società che si stanno affermando in questo campo. Una di queste è Hulu, tra i cui prodotti c’è l’interessante Into the dark, serie horror da un’uscita al mese. Anche in questo caso ogni episodio ha una storia a sè ed ha come soggetto la festività del mese in questione. Di Into the dark ho visto solo il primo episodio ma mi è bastato per approvarlo in pieno, soprattutto per la sua intenzionale esagerazione. In sintesi mi è sembrato un vecchio film degli anni ottanta. Stesso stile, stessi temi musicali, stesse luci al neon. Se le premesse sono quelle del pilota, ci sarà da divertirsi. Devo trovare solo il tempo per recuperare gli altri episodi.

 

INTO THE DARK – TRAILER

 

Restando in tema di episodi da recuperare segnalo un’altra serie che conto di vedere a breve: Castle Rock. Proveniente sempre da Hulu, la serie prende il nome dalla cittadina immaginaria che fa da cornice a numerose storie scritte da Stephen King. Personalmente stavo aspettando che fosse doppiata in italiano per poi guardarla, ma ad oggi non sembrano esserci spiragli di acquisizione da parte di network nostrani. E allora, alla luce della conferma di una sua seconda stagione in fase di produzione, lo guarderò in lingua originale.

 

CASTLE ROCK – TRAILER

 

L’ultima serie ancora inedita che voglio menzionare è Channel Zero. Anche qui siamo nell’ambito delle serie antologiche, stavolta dalla struttura narrativa simile a quella American Horror Story (ogni storia dura una stagione). Trasmessa dal canale americano Syfy, Channel Zero racconta le paure originate dai creepypasta, quelle leggende metropolitane che negli ultimi anni si sono sviluppate ed espanse attraverso pc e messaggi su smartphone. Quattro stagioni da sei episodi ognuna.

 

CHANNEL ZERO – PROMO

 

E se qualcuno si stesse chiedendo se ho deciso di dedicarmi solo alle serie in lingua originale, la risposta è no. Seguo ancora le serie doppiate. Da poco ho iniziato Lucifer su Netflix, anche se la sto trovando piuttosto noiosa e alquanto sopravvalutata. 

I ’90 che tornano

90 Special

 

Parte stasera su Italia Uno la prima di 5 puntate di ’90 Special – Che ne sanno i 2000, il nuovo programma ideato e condotto da Nicola Savino che promette di riportare alla luce temi, colori e sapori dell’ultimo decennio dello secolo scorso.

In un interessante articolo su Tv Sorrisi e Canzoni, Savino rivela che «l’ispirazione sul confezionare una trasmissione del genere è partita guardando la serie “1993”» in cui si è divertito a scovare in essa oggetti ed emblemi di quegli anni. Il che, per un nostalgico cronico come me (nonchè amante degli anni novanta), è già un atteggiamento che rende la premessa particolarmente appetibile.   

Ciò che mi rende, invece, piuttosto scettico sulla buona riuscita di ’90 Special, è dato da un paio di incognite che potrebbero rivelarsi di non poco conto. In primo luogo, c’è da considerare l’ovvio limite dato dal fatto di dover utilizzare video di repertorio attinti esclusivamente dall’archivio Mediaset. Mi piacerebbe, ad esempio, rivedere spezzoni di trasmissioni di Mtv come Unplugged o Select, o ricordare la sigla di “Al Cinema in Famiglia” su Raiuno (anni ottanta, lo so), cosa che difficilmente sarà possibile, dato che Mediaset non è principale titolare dei diritti in questione. E poi c’è il rischio concreto di dover assistere ad una sorta di Matricole e Meteore Bis, un programma che ho sempre trovato stucchevole e del tutto privo di contenuto. In ogni caso, confido nelle capacità autoriali di Savino e nella forte impronta nostalgica che ha promesso di mettere nella conduzione.  

Secondo indiscrezioni, tra gli ospiti della prima puntata ci saranno gli Eiffel 65 (chissà se nella formazione al completo) e Jovanotti. Quest’ultimo tornerà a cantare a distanza di trent’anni Asso, la sigla del telefilm Classe di ferro (che però è della fine degli ottanta). 

Finite le mie considerazioni basate sui presupposti, non mi resta che ricordare l’appuntamento di questa sera, su Italia Uno, con la celebrazione dei 90 Special. L’orario d’inizio è alle 21.25 perchè, purtroppo, la prima serata di oggi non è più quella degli anni novanta.

Un Happy Ending che non c’è più stato…



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Chi mi legge da qualche tempo sa quanto io sia un fanatico di serie-tv o, comunque, di intrattenimento casalingo. Sebbene il tempo a disposizione sia diminuito negli ultimi mesi, cerco ancora il modo di dedicarmi la giusta razione quotidiana di buon svago.  Questo è possibile grazie a quell’utilissimo strumento che è il My Sky, l’apparecchio delle meraviglie capace di registrare i programmi preferiti e di rivederli quando vuoi tu e come vuoi tu. Facendo eco a quanto recita lo spot della celebre multinazionale di Murdoch, devo ammettere che quest’aggeggio ha cambiato sul serio il mio modo di vedere la tv, snellendo gli appuntamenti fissi ed eliminando di colpo tutti i palinsesti che rende schiavi gli appassionati di serial come me. Ora però basta con la marketta. Promesso. Anche perchè QUI, a suo tempo, parlai in termini tutt’altro che entusiasti sulla cara piattaforma satellitare.

Il punto dell’articolo, piuttosto, è il destino di uno dei telefilm più divertenti degli ultimi anni: Happy Endings. Creata da David Caspe, questa serie-tv narra con leggerezza e verve umoristica le vicende di un gruppo di amici di Chicago, i loro problemi di lavoro e di cuore, le proprie manie e sogni.  Il cast fisso è formato da una coppia mista (Damon Wayans Jr. e d Eliza Coupe), un gay dalla sensualità intrinseca (Adam Pally), una solare single in cerca (Casey Wilson), un aspirante ristoratore (Zachary Knighton) e la proprietaria di un negozio di abiti (Elisha Cuthbert). Un mix esplosivo in grado di raccogliere nelle tre stagioni di vita altalenanti e contrastanti pareri da parte della critica. Da una parte troviamo gli acclamatori e sostenitori (gruppo del quale il sottoscritto chiaramente appartiene), con a seguito bandiere a palesare l’essere brillante, fresco e spensierato del telefilm. L’altra fazione è, invece, rappresentata dai detrattori, da chi ritiene che questo comedy-serial sia troppo simile ai suoi predecessori (Friends in primis). 

Fatto sta che la serie tv rischia (continuo ancora ad usare un verbo che implica una condizione che probabilmente non esiste più) di chiudere a causa dei bassi ascolti rilevati nell’ultima stagione. La riflessione è legata alla scoperta che le opinabili politiche della televisione sono basate su cinici riscontri in termini di auditel i quali, se positivi, rappresentano entrate per l’emittente tv grazie agli sponsor. Al contrario, mancanza di  un certo e stimato numero di telespettatori è pari ad una bancarotta finanziaria che finisce per decidere la chiusura anzitempo del prodotto televisivo.

Una teoria che lascia poco spazio al sentimentalismo degli appassionati e che manifesta lo scarso rispetto dei signori padroni dei Networks nei confronti di una nutrita fetta di pubblico che prima viene ammaliata e portata all’affezionarsi a qualcosa, e poi impietosamente abbandonata. Viva lo Show business americano.

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